L’Open Source è morto. Evviva l’Open Source!

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Alla Open Source Conference oggi a Milano c’erano molte persone; io ci sono stato per poco -agenda fitta di impegni- giusto il tempo di salutare qualche amico (Roberto, Sergio, Valerio, Gianni, Ilario, Gianni, Carlo, Flavia, Luca, Alberto, Paolo, Lorenzo ed altri ancora). Non ho seguito nessuno degli interventi di vendor ed integrator anche perché, qui lo confesso, non amo particolarmente -né sostengo- le premesse costituenti questo evento (cit. “…soluzioni Open Source in grado di rispondere a esigenze di tipo Enterprise, capaci di affiancare agli storici vantaggi in termini di “costi” e possibilità di sviluppo, anche caratteristiche di robustezza, affidabilità e garanzia di continuità operativa“).

Intendiamoci: molte di queste argomentazioni spesso rappresentano le primitive che mi consentono di conoscere nuove persone, magari futuri partner in affari (clienti, se volete). Rispondete a questa domanda: quanti di voi hanno mai messo mano seriamente agli internals di un software open source felicemente adottato in azienda? Quanti hanno davvero scoperchiato la pentola per vedere cosa c’era dentro? Pochi, davvero pochi; credetemi.

Quanti invece hanno scoperto che, dopo aver usato quella scatola “chiusa ma senza lucchetto“, si sono ritrovati in mano un oggetto usabile, integrabile, interoperabile, sostituibile e standard? Molti, davvero molti; credetemi.

Nel scegliere un software, un prodotto, una tecnologia o un metodo, prestare particolare attenzione a queste caratteristiche è oggi una scelta lungimirante, quindi vincente. Incidentalmente, molto spesso ma non sempre, questo significa scegliere Open Source; e qui, allora sì, anche risparmiare.


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