Love is in the… train

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Se, come si dice, partire è un po’ come morire, allora arrivare è un po’ come risorgere. Questo devo aver pensato mentre le porte del treno veloce si aprivano, restituendomi finalmente alla mia amata Milano. Un sibilo, lo sfiato d’aria dei freni, e quei tre gradini morbidi, simili a quelli dell’Apollo 11 di Armstrong, che mi riportano a terra.

Milano Centrale, stazione di Milano Centrale“, recita la voce robotica. Sono arrivato, sono a casa, sono rinato.

Viaggiare in treno è comodo. Il treno veloce accorcia le distanze, ti avvicina a mete lontane, ti rilassa… ma non sempre, perché, come ben si sa, non siamo mai soli. Mai.

Io non sono cattiva, è che mi disegnano così

Immaginate di trovarvi nella quiete ovattata della cabina Club Executive, il massimo del lusso e del silenzio. E ora immaginate di essere a Roma, pronti per partire.

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La signora d’affari sui cinquantacinque, seduta un paio di comode poltrone più in là, estrae un iPad e snocciola una serie infinita di video call, in vivavoce. Ovviamente senza auricolari. Faccio appena in tempo a conoscere i piani di vendita dei prossimi tre semestri quando uno dei passeggeri, infastidito, mediato dallo steward in servizio, le intima di smettere di far rumore, di abbassare il volume della conversazione e di utilizzare degli auricolari.

Non ce li ho“, lei, laconica. So far, so not good.

Ma la cosa non finisce qui. Spegne l’iPad e accende lo smartphone. La solfa non cambia.

Complice, forse, un comprensibile accenno di sordità, ehm -siamo quasi coetanei, inizia a conversare a voce ancor più alta, riprendendo a snocciolare numeri, forecast, ricette di cucina e pettegolezzi sul quel collega antipatico che durante l’ultima riunione le ha lanciato tremendi sguardi di sfida. Io prendo appunti, si sa mai che tornino utili per i miei prossimi sales meeting.

“L’amore è ad un passo”

Di fronte a me un signore sulla sessantina. Club Executive, ricordate? Un livello sopra la prima classe (che ci faccio io qui?), che nell’immaginario comune evoca comfort di ogni tipo. La realtà, purtroppo, è ben diversa. Le poltrone sono effettivamente più larghe, ma anche un po’ più scivolose. Il mio dirimpettaio vi si accascia comodamente e, complice l’italo-pelle, nel senso di NTV treno, ha l’insana idea di far scivolare le sue gambe verso le mie.

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I suoi piedini iniziano ad avvicinarsi ai miei, in un gioco di sfioramenti che parte imbarazzato a Roma, diventa quasi romantico dopo Firenze, e si fa piuttosto intenso mentre ci avviciniamo a Bologna.

All’ennesimo tocco, delicato devo dire, non resisto e mi dichiaro ufficialmente: “Faccia attenzione“, gli dico, “al quinto piedino tendo ad innamorarmi“.

Mi guarda incredulo, per qualche secondo sembra bloccato nel tempo, poi replica: “Capisca, sa… io sarei ancora per le cose tradizionali“.

Non posso far altro che sorridere. Che siano i primi segni di una prossima campagna elettorale? Dio, Patria e Biglietto di Prima Classe per tutti?

“Demo, sipario!”

La scena si svolge tra i sedili della carrozza numero 1. Due uomini, smartphone in mano come pistole, si avvicinano al posto 12. Il ticket elettronico, letto e riletto centinaia di volte nell’ultima mezz’ora, recita “Carrozza numero 1, posto numero 12“; hanno entrambi il biglietto per la stessa poltrona.

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Si guardano come cowboy in un saloon, ma nessuno ha il coraggio di fare la prima mossa.

Arriva lo steward, il nostro ufficiale gentiluomo, con il suo smartphone magico che sputa numeri a velocità supersonica. “Carrozza 1 e posto 12, mi avete detto. Giusto?“, domanda solo per prendere tempo. I duellanti rispondono all’unisono, affermativo.

Istanti lunghi ere geologiche.

Intanto dal megafono della stazione un improbabile deejay annuncia che il treno è in partenza e che chi non parte dovrebbe scendere immediatamente. “Ma che ci fanno quelli che non partono sul treno?“, mi chiedo, mentre osservo tre persone davanti a me concludere una serrata trattativa con l’estemporaneo venditore di calzini.

Torniamo ai duellanti.

Dopo aver consultato il piccolo schermo, lo steward categorico afferma: “Ecco, vedete signori, a me questo posto risulta… libero“. Liberi tutti, fine del duello, tutti a casa. Mi viene da ridere, mentre penso che forse il treno non è poi così diverso dal teatro.

“Vota Antonio, vota Antonio”

Le porte del treno sono ancora aperte, e un signore di mezza età sta discutendo animatamente con lo steward di bordo, quell’altro. Il signore giura e spergiura di avere il biglietto, ma di non poterlo esibire perché l’app sul telefono si rifiuta di mostrarglielo.

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Lo steward, paziente, gli spiega che il collega con lo smartphone magico è impegnato a risolvere la faccenda dei due cowboy e non può aiutarlo.

L’aspirante passeggero, un po’ esasperato, suggerisce una soluzione creativa: “Anche se meno potente, non potrebbe cercare il mio nome sul suo smartphone?“.

Lo steward, un po’ perplesso, accetta la sfida: “Come si chiama?“.

E lui, con un sorriso: “Antonio… cerchi un po’”.

Scena degna di un “programma lato-b” di Bonolis, penso, mentre il treno finalmente chiude le porte e parte.


E così, tra incontri surreali e conversazioni inaspettate, il mio viaggio da Roma a Milano si conclude. Riemergo sulla piattaforma della stazione, un po’ più ricco di storie, un po’ più povero di pazienza.

Ma, alla fine, cosa sarebbe un viaggio, anche in senso metaforico, senza qualche personaggio bizzarro a tenerci compagnia?


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