Salalah, Oman 2025

Pubblicato Categorie: Life, Travel

Viaggiare fa bene, viaggiare ti arricchisce.

Da questo viaggio, in particolare, io torno a casa molto più ricco, complice l’abbondanza della cucina del villaggio: chi l’avrebbe mai detto che un semplicissimo all-inclusive avrebbe lasciato il segno?

Tre, per la precisione. E tutti morbidamente stipati tra addome e basso ventre.

Cerchiamo di capire come sia potuto succedere. Buona lettura.

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo!

Non come quello più celebre nel suo genere, firmato Nando Martellini, nella magica notte dell’11 luglio 1982. Ma quasi.

È l’ultimo appuntamento di una settimana di sport intenso, trascorsa nella tratta sdraio-ristorante-sdraio del Bravo Club di Salalah, governatorato del Dhofar, in Oman.

Siamo io e l’amico Fabio, un vero Stachánov degli sport di spiaggia, conosciuto giusto in tempo per affrontare l’ultima e decisiva sfida. Noi due contro il resto del mondo. Sole cocente di quasi mezzodì che picchia in testa. La folla si assiepa, tutta attorno, ad osservarci.

Comincio io: pallino, boccia verde. Tocca a loro: boccia rossa, sono più vicini.

Un uno-due alternato, si arriva al cinque, col socio esperto sempre più decisivo. L’ultima verde e il boccino si sfiorano, rinsuonano all’unisono. Musica celestiale: abbiamo vinto il torneo di bocce del villaggio. Esultanza, olè!

Oggi bis, anzi tris di dolci a tavola.

Verona – Salalah, tutte le strade port… passano da Roma.

Il nostro viaggio inizia da una soleggiata e tiepida -considerata la stagione- Verona. Direzione Aeroporto Internazionale di Salalah. Tutte le strade, dicevano gli antichi, portano a Roma. Ed anche questa, seppur aerea, quantomeno ci passa.

Scalo tecnico, salgono gli ultimi migranti dalla capitale, ma i conti non tornano: hostess e steward passano più volte ad enumerare i passeggeri imbarcati. Con il contapersone prima, con le dieci dita delle mano poi. Si intensificano gli annunci: “Tornate al vostro posto, restate seduti”. Niente da fare, è il caos: sembra lo spoglio elettorale della Florida del primo mandato Trump.

Distraggo il tempo osservando i miei vicini di posto, già immaginandomeli immersi nella realtà del villaggio vacanza. Attività celebrale intensa, mi viene fame. Sgranocchio lo sgranocchiabile e finalmente si riparte. Arriviamo a destinazione con un’ora abbondante di ritardo e, giunti in hotel, per consolarci, ci offrono lo spuntino di oltre-mezzanotte. Gnam gnam.

First reaction: shock.

La prima notte passa svelta. Il fuso ci ruba tre ore di sonno ma ci regala l’incontro con Alessandra, Lumi e Fabio, mio partner in crime alla bocciofila, anch’essi spaesati tra i vicoli della nuova città dalla segnaletica dubbia.

Presto che è tardi! La colazione a buffet viene servita solo fino alle dieci e trenta. Ce la facciamo, giusto in tempo: locale, internazionale, abbondante e deliziosa.

Stanchi, assonnati e già un po’ appesantiti ci dirigiamo verso la spiaggia: magia, bellezza, lucentezza, profondità. La lunga, bianca e brillante striscia di sabbia si staglia verso l’infinito, complice un mare verde cristallino. La vista è mozzafiato.

Un po’ lo è anche il primo impatto con l’oceano: freschino, ehm… freddo. Non importa, ci si tuffa lo stesso. È bellissimo qui. A proposito, a che ora si pranza?

Io non poltrisco, io purifico il mio organismo.

Non è sabato ma il villaggio è comunque in festa, la donzelletta vien… dall’altra spiaggia. Giardini curati, vie che dal centro si diramano verso una periferia ricca di canali e ponticelli. Una Venezia in miniatura, verde la laguna, celsius ventotto i gradi all’ombra. Celsius qualcuno in più, i percepiti al sole.

Le onde del mare, regolari nel loro infrangere sulla spiaggia, ci accarezzano, il loro canto ci culla. Tutto questo camminare, avanti e indietro in direzione Yemen, mi ha messo un po’ sonno. La sdraio, sirena dei tempi moderni, richiama a sé lo stanco Ulisse. È l’ora del relax, ghiotta occasione per mettere corpo e mente a riposo.

Presto, anzi no, con molta calma… tanto la cena verrà servita più tardi. Ronf ronf.

Oro, incenso e mirra.

Freschi e riposati dopo un giro completo d’orologio in Oman, si parte per la prima escursione. Destinazione Rub’ al-Khali, “il quarto vuoto”, il deserto che si estende nella parte più meridionale della penisola araba. Quarto vuoto perché quarta parte dopo cielo, terra e mare.

Duecento chilometri circa di strada, perlopiù asfaltata, una striscia nera nel bel mezzo del nulla sabbioso. Qualche volta, metamorfosi inaspettata, color “verde Irlanda”: sì, il deserto ricco d’acqua ed erba è un’esclusiva dell’Oman e del suo microclima che porta pioggia nel deserto tra maggio e settembre.

La prima tappa è per conoscere e toccare con mano la Boswellia sacra, la pianta simbolo dell’Oman, diffusa anche in Yemen e Somalia, che -se ferita- piange una resina preziosa e profumata: l’incenso. Il franchincenso, per essere precisi, quello vero. Quello curativo ed ornamentale, quello esportato quasi esclusivamente per il Vaticano, quello portato in dono dai Magi a Gesù, a Betlemme, insieme ai -pur di ugual valore- oro e mirra. Accarezziamo le ferite della pianta, le nostre mani profumano di sagrestia. Una foto, l’ultima spiegazione di Aladdin, la nostra guida locale, e si riparte.

La seconda tappa ci porta al sito archeologico di Shisr, patrimonio Unesco, dove anche grazie a tecnici italiani, si sta cercando di riportare alla luce Ubar, l’Atlantide delle Sabbie, città e regione sepolte sotto una trentina di metri di sabbia. Scoperta recente dell’occhio satellitare targato Nasa USA. C’è ancora molto da scavare, poco -al momento- da vedere. Ma è sempre Aladdin, con la sua breve introduzione alla trama de “Le mille e una notte“, a tenerci incuriositi ed interessati.

Terza ed ultima tappa il campo base. Tende piantate in mezzo alle dune sabbiose del deserto, dove passeremo la notte. Non prima di aver cenato, naturalmente.

Sulle dune, nelle tende, sotto le stelle.

Tende bianche disposte in cerchio e un gran tendone al centro. Questo l’Hotel Centomila Stelle presso cui soggiorneremo stanotte. Immerso in una valle di sabbia, attorniato da montagne di sabbia.

Arrivati, ci fiondiamo verso la duna più vicina; i più veloci sembrano dei moderni Neil Armstrong, quello del primo allunaggio. Loro le prime impronte lasciate sulle intonse alture di sabbia. Si cammina a fatica, ci viene in aiuto una scala posticcia. Chi s’allontana dalla strada maestra sprofonda. È divertente.

Ognuno di noi, piccolo gruppo in gita, conquista la propria cima. Si saggia la morbidezza delle dune, si ammirano le sfumature dei loro colori, si cerca di fotografarne gli angoli più remoti.

Ma è l’ora che volge al desio.

Ci si accomoda sui cocuzzoli delle dune, ci invitiamo a smettere di parlare. La palla di fuoco all’orizzonte scende piano, il silenzio è assordante. È lo spettacolo della creazione, così come lo immagino io, emozionante. Ma a differenza del Creatore, lui si riposò al settimo giorno, noi invece ci concentriamo sulla settima ora post-meridian.

Il tempo di un ultimo scatto, selfie inclusi, ed arriva l’imbrunire. Abbiamo scalato le ripide rosse di sabbia, siamo stanchi ed affamati. A proposito, a che ora si cena?

Cuoco libanese: riso, verdure, hummus e carne di dromedario, piatto tipico e popolare dell’Oman. Pancia piena chiama riposo, non prima -però- di aver ascoltato un ultimo racconto.

Il fuoco, custode di mille racconti. E una notte.

Aladdin ci riunisce in cerchio attorno al falò. È sua l’unica voce che riecheggia nella valle, ritmata dal crepitio della legna ardente. Si narra, chissà poi se è tutto vero, di donne da prendere in sposa a suon di regali obbligatori da trentamila euro cadauno.

C’è il Sultano dell’Oman, parigrado solo di quello del Brunei, che un tempo regnava sino a Zanzibar e che oggi elargisce appezzamenti di terra a tutti i diciottenni, poi li impiega in posti statali poco impegnativi, dando loro la possibilità di proseguire gli studi in modo del tutto gratuito.

C’è il petrolio, motore dell’economia omanita, che passa di mano agli inglesi in cambio di moneta sonante. C’è l’Islam, ci sono le donne, ci sono le stranezze del clima della penisola.

Ci sono le stelle, i segni zodiacali, usi e costumi dei profumati uomini dell’Oman.

È tardi, domattina la sveglia suonerà alle 5:40 per tutti, ma i più giovani restano alzati ancora un po’ davanti agli ultimi scoppiettii, per raccontarsi l’ultima. Solo un anziano s’accompagna loro, li fotografa, e curioso -un poco preoccupato- si domanda: prima o dopo aver visto l’alba, domani mattina, ci daranno la colazione?!?

All’Hotel Centomila Stelle si va a nanna presto.

La notte è corta, fredda e nera. Ci si addormenta, ognuno nel proprio tepee, come sottilette avvolte tra due pezzi di pan-piumino. Una luce fioca illumina la tenda, pannelli solari ed accumulatori hanno lavorato per questo tutto il giorno. Si può anche ricaricare il telefonino, ma niente Wi-Fi, niente Omantel: siamo solo noi, in compagnia di qualche raro animaletto selvatico, avvolti nei nostri pensieri, in totale silenzio, a rimirar il creato, la volta celeste.

Agli insonni, o ai più attivi da un punto di vista renale, la fortuna di alzarsi nel bel mezzo della notte. Sono le 4:30, esco dalla tenda, telefonino a mo’ di torcia al mio seguito. Inciampo, alzo lo sguardo al cielo: sopra di me le stelle sembrano essersi moltiplicate, sono ancor più brillanti, più vicine di prima. Posso toccarle con un dito. Nessun rumore, nessuna luce, nessun pensiero. Solo io, loro, noi.

E quell’incubo fisso che mi attanaglia da ore: la sveglia è puntata alle 5:40, ok, va bene. Ma a che ora la colazione, poi?

Ore 5:40, sveglia. L’alba non ci aspetta.

Drin, driiin, driiiiiin. Da ogni dove, da ogni tenda, cantano in coro un concerto di suonerie.

Sveglia, sveglia: l’alba s’avvicina. Piccola e frugale pre-colazione prima di incamminarci verso le dune ad est, sia mai che si affrontino le fatiche senza le giuste energie.

Si parte. In testa, Aladdin guida una carovana infreddolita che si trascina a fatica, ma curiosa, verso le dune -oltre le quali presto sorgerà il sole. È la fotocopia della sera prima, in direzione contraria. Il dimmer naturale si mette in moto, l’orizzonte diventa sempre più chiaro. I colori della terra si confondono con quelli del cielo.

Ci si accomoda, ognuno sulla propria cima, e si attende.

Si attende che tutti tornino nel silenzio più totale, il più simile possibile rispetto a quello della notte appena trascorsa.

Ed eccolo nuovamente apparire all’orizzonte. Lento, maestoso, multicolore e sempre più grande. Ci acceca, ci riscalda, ci inebria. Felici perché un altro giro di ruota sta per iniziare.

Felici anche, però, perché tra poco si torna al campo base… e chissà cosa ci avrà preparato il nostro chef libanese per colazione?!?

Acqua, quindi vita nel deserto.

La discesa a valle è breve, i più affamati quasi corrono al sentir pronunciare la magica parola “colazione”. C’è ancora tempo per gli ultimi ritocchi di Aladdin, del perché delle pozze di sale, conseguenza delle piogge stagionali. Della sola gobba, una sola, di quel prezioso animale: cammello o dromedario? Dell’albero della vita, della vita nel deserto, eccetera eccetera.

Non smetteremmo mai di ascoltarlo. Ma, indovinate un po’… la colazione è servita.

Ciao Aladdin, è stato bello. Gnamme.

Di rientro, di nuovo in spiaggia: buon Natale!

Gli imponenti fuoristrada sono tornati, gli autisti sono quelli del giorno prima e ci aspettano per riaccompagnarci “a casa”. Qualcuno scova tra gli utensili in dotazione un paio di tavole da snowboard, qualcun altro -intrepido, impavido- non esita ad arrampicarsi nuovamente sulle dune della sera prima per cimentarsi in discese improbabili, uniche, divertenti. Nessun ferito, nessun campione di Super G.

Si rientra verso Salalah a tutta velocità. Giusto una breve sosta tecnica all’autogrill omanita; sono curioso, entro nel negozietto del distributore: generi di uso comune, cibo e bevande a prezzi stracciati. Alla pompa la benzina costa veramente poco, l’equivalente di cinquanta centesimi di euro. Scoprirò, poi, che in verità i locali la pagano la metà, avendo diritto al prezzo agevolato per un gran quantitativo di litri di carburante, ogni anno.

Al villaggio, intanto, ci ricordano che non molto lontano da quella terra, duemila anni fa -o giù di lì- nasceva il Salvatore. In spiaggia, luogo promiscuo e democratico per antonomasia, passa il nordico Santa Claus a bordo di uno stanco dromedario. Di rosso vestito il Babbo, di rosso dipinto anche in viso, data l’alta temperatura.

Doni per i più piccini, messaggi beneaguranti per i più grandicelli. Su tutti campeggia l’invito per la serata in arrivo: gran cenone della vigilia a bordo piscina. Buon Natale!

E fu sera.

Le sere che ci avvicinano all’inesorabile rientro al freddo e al gelo sono tutte diversamente uguali.

Alle 17:52 naso all’insù, a rimirare la nostra stella tuffarsi nel mare. La palla di fuoco diventa sempre più rossa e rosso diventa il creato intorno a lei. Cielo e mare sono un tutt’uno, la musica è finita. Le acque si ritraggono, la folla agita gli smartphone al cielo: è un tripudio di click, istantanee digitali da affiancare a quelle dipinte nei nostri ricordi, forse per sempre, o forse no, chissà.

La luce diffusa, ora più tenue, ci regala scatti iconici. La mia first-lady, per gli intimi Jacqueline Kennedy, si presta al gioco e il gioco le riesce egregiamente bene.

Ma è ora di andare, si fa sera. È ora di consumare l’ultimo pasto del dì. Felice io.

Non solo petrolio, l’Oman a cavallo.

Per i più pigri, forse i più temerari, il tramonto è anche il tempo migliore per andare a cavallo. Corse di qualche minuto in cambio di pochi Rial, la moneta locale.

Un anziano bianco vestito, bastone in mano, dal passo insicuro si avvicina. A gesti, qualche parola sbiascicata in inglese, ci fa intendere che è lui il proprietario dei quadrupedi. Che sono di importazione, come lo è lui, ci tiene a dire.

Spettacolo. Anche lo sport equestre, forse in virtù dell’ora tarda, mi ha messo un gran appetito.

La moschea.

“Non di solo pane”, dalle sacre scritture, a cui un caro amico -tempo fa- aggiunse l’iconico “ma anche di salame”. Bando alle ciance, fuor di blasfemia, lasciamo la terra e ci dirigiamo verso lo spirito.

L’occasione è l’escursione alla Sultan Qaboos Mosque, la moschea di Salalah. Accessibile anche a noi, a patto di coprirci adeguatamente, le donne un po’ di più, camminando scalzi sopra il nastro blu messo a protezione del pregiato tappeto, questo invece riservato solo ai calcagni dei fedeli del Corano.

La guida odierna ci spiega i rituali della preghiera islamica, i modi, gli orari, le posture. Lo ascoltiamo incuriositi, affascinati dall’impegno riservato a curare lo spirito da queste genti. Ricordandoci forse delle nostre fatiche di gioventù per assistere alla messa domenicale, un’ora scarsa alla settimana, la mattina, nella chiesetta del paese.

La moschea è ampia, di recente costruzione. Marmi italiani, e non solo, ad abbellirla. Lampadari targati Murano ad illuminarla. Dentro e fuori è davvero bella.

Si nota, invece, il contrasto rispetto alle costruzioni civili del quartiere in cui è immersa, quest’ultime un po’ più datate, disordinate, forse meno curate. Quasi ad intendere che anche nella sua rappresentazione terrena, è la componente divina a polarizzare il nostro tempo, le nostre attenzioni, i nostri sforzi.

Dopo il sacro, il profano: lo shopping in technicolor.

La gita non finisce alla moschea. Dopo il sacro, un po’ di profano.

In perfetto stile Soviet, visitiamo i negozi del centro storico e del “mercato rionale”, precisamente quegli esercizi commerciali felicemente ‘abituati’ ad ospitare carovane di possibili acquirenti trascinate, sin lì, dalla guida di turno.

Ori, argenti, abbigliamento e souvenir d’ogni fattura. Prezzi accettabili.

Ma è in profumeria che ci si supera. La guida s’erge ad imbonitore televisivo, un Baffo da Crema in salsa omanita, e passa in rassegna -spiegandone i benefici- incensi, mirre, spezie, saponi ed altro ancora. La folla s’accalca, il registratore di cassa fa din-din. Negozianti felici. Compratori pure.

S’è fatta una certa -penso tra me e me. Questa sera cibo omanita in Marina, la zona commerciale del complesso alberghiero presso cui alloggiamo. Non sarà ora di rientrare per prepararsi ad andare a cena?

Bye bye Oman.

Ultimo giorno, ultimi scatti. I negozi della città vecchia sembrano ancora più stanchi. Stanco sembra anche l’ultimo tramonto; ci saluta fosco, annebbiato.

Ma noi non demordiamo.

Un saluto al sole, un grazie per le splendide giornate, le amicizie appena nate, un ultimo stanco-selfie da boomer, senza posa, direttamente dalla sdraio. Per chiudere con l’ultima, sì l’ultima cena. Senza scomodare i dodici. Ultima, quindi abbondante. Slurp!

Tax free.

Ah, dimenticavo. In Oman, grazie soprattutto all’oro nero, le tasse sono a zero. Niente, nyet, nada, nimic, nothing, zero. Ma non per il viandante e l’immigrato. Curioso, ma non proprio una sorpresa per noi tartassati italici, l’accumulo di tassa di servizio, municipale, turistica e IVA. Al cinque percento, però.

Evviva! Si brinda. Anzi no, si cena.


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