Ovvero: come ho imparato a preoccuparmi e ad amare la battuta politica
Qualche mese fa ho seguito questo corso online sulla satira digitale e il giornalismo in America Latina ed Europa, e devo ammettere che non pensavo di uscirne con così tante riflessioni. Quello che doveva essere un approfondimento su meme e YouTuber si è trasformato in un viaggio attraverso le dinamiche del potere, la libertà di espressione e, sorpresa, i modelli di business del XXI secolo.
I nuovi eroi digitali (che non vogliono essere chiamati giornalisti)
Una delle scoperte più interessanti è stata conoscere figure come Chumel Torres in Messico e Malena Pichot in Argentina. Torres, un ingegnere meccanico che ha scoperto di essere più bravo a smontare la politica che i motori, è diventato una voce influente con il suo “El Pulso de la República” su YouTube. La cosa affascinante? Rifiuta categoricamente di essere chiamato giornalista: “Copio il compito del giornalista“, dice con onestà disarmante.
Malena Pichot, dal canto suo, ha trasformato YouTube in una piattaforma femminista, utilizzando la satira per affrontare temi come le molestie sessuali e i cliché di genere. Due approcci diversi, una stessa rivoluzione: il pubblico non aspetta più che qualcuno gli spieghi cosa pensare, se lo fa raccontare con una risata.
Il lato luminoso della forza (satirica)
La satira digitale ha dimostrato di essere molto più di semplice intrattenimento. In contesti post-traumatici come il Cile dopo Pinochet o l’Argentina dopo la crisi del 2001 è diventata uno strumento di elaborazione collettiva del dolore e di critica al potere. È quello che gli esperti chiamano “spirito carnevalesco“: ribaltare temporaneamente l’ordine costituito per far capire che non è l’unico possibile.
I vantaggi sono evidenti:
- democratizzazione dell’informazione: chiunque con uno smartphone e un’idea può raggiungere migliaia di persone
- linguaggio accessibile: la complessità politica diventa comprensibile attraverso la risata
- coinvolgimento del pubblico: i social media trasformano la fruizione passiva in interazione attiva
- agilità comunicativa: mentre i media tradizionali decidono, i satiristi pubblicano
La “glocalizzazione” di format come The Daily Show mostra come l’umorismo possa viaggiare e adattarsi, mantenendo l’efficacia critica mentre si veste di colori locali.
Il lato oscuro (che non è poi così divertente)
Naturalmente, non è tutto rose e fiori nel regno della satira digitale. Anzi, le spine sono parecchie e spesso dolorose.
La minaccia delle fake news è reale: quando l’ironia non è abbastanza evidente, la satira può essere scambiata per informazione vera. Il confine tra “è ovviamente uno scherzo” e “qualcuno ci crederà davvero” è più sottile di quanto si pensi nell’era dei social.
La questione della sicurezza è ancora più seria. Chumel Torres ha una politica ferrea: niente criminalità organizzata, “non c’è modo di farne una risata, fa troppo male quel tema“. La libertà di espressione finisce dove inizia la preoccupazione per la propria incolumità fisica.
La sostenibilità economica resta un enigma. Come si mantiene un satirista digitale? Le sponsorizzazioni tradizionali spesso scappano quando si critica troppo, e il crowdfunding non sempre basta. Torres ha trovato un equilibrio con sponsorizzazioni “positive” (come il suo “maestro del mese”), ma il modello resta fragile.
La polarizzazione politica trasforma ogni battuta in una trincea. Come osserva Torres, “quando voti con la rabbia non c’è modo di essere intelligenti“, e la satira rischia di alimentare divisioni anziché stimolare riflessioni.
L’Europa e i suoi piccoli problemi di traduzione
Uno degli aspetti più curiosi emersi dal corso riguarda la difficoltà della satira nel viaggiare. Una battuta perfettamente accettabile in Germania può risultare impensabile nei Paesi Bassi. L’umorismo, si scopre, è terribilmente provinciale: quello che fa ridere a Milano può lasciare di ghiaccio a Napoli, figuriamoci a Berlino.
La Spagna ha sviluppato una sua particolare risposta alla crisi con pubblicazioni come Mongolia, che si rivolge a lettori “disincantati” e “affamati di cambiamento“. Il collettivo Gila (dal nome del comico Miguel Gila) usa come slogan “La nostra vendetta è essere felici“, una filosofia che meriterebbe maggiore diffusione.
Conclusioni: ridere è una cosa seria, ma non troppo
Dopo questo percorso formativo, una cosa è chiara: la satira digitale non è solo intrattenimento, ma un fenomeno culturale e politico complesso che merita attenzione. È uno specchio deformante ma rivelatore della società contemporanea, capace di esporre assurdità che il giornalismo tradizionale fatica a rendere evidenti.
Tuttavia, come ogni strumento potente, porta con sé responsabilità e rischi. La libertà di fare satira deve bilanciarsi con l’accuratezza dell’informazione, la critica feroce con il rispetto delle persone, l’engagement con l’educazione del pubblico.
E poi c’è la considerazione finale di Jorge Alonso, che nel corso citava: “L’intelligenza artificiale diventerà una minaccia centrale per gli esseri umani solo quando sarà in grado di creare umorismo sovversivo originale che condensi le nostre paure e ansie più profonde. E ci faccia ridere“.
Bene, aggiungiamo questo alla lista delle cose di cui preoccuparci: il giorno in cui ChatGPT imparerà a fare battute politiche davvero divertenti, forse avremo davvero un problema. Nel frattempo, continuiamo a ridere degli umani al potere, finché possiamo, finché ne vale la pena, finché ci fanno ancora ridere più di quanto ci facciano piangere.
Scopri di più da Luca Bonesini
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