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A crowd of passionate fans cheering during a soccer match in a packed stadium.

Un piccolo stadio di provincia, disperso come un’isola nel mare del nulla. In campo, avvolti da una nebbia che pare rubata a un romanzo gotico, undici pantaloncini azzurri sfidano altrettanti pantaloncini, questa volta rossi. A metà campo, con passo felpato e sguardo da inquisitore, un individuo in completo nero, armato di fischietto, regge le sorti della contesa.

Sugli spalti il genere umano in tutta la sua variegata magnificenza. Un’umanità che sembra evocata da un dipinto di Bosch: personalità grottesche, anime frustrate e persino spiriti animati da un’ombra di malevolenza. È il consueto teatro della vita, dove il tifo diventa confessionale e l’urlo catartico.

Ma questa volta, in un inatteso coup de théâtre, non è il grido becero a prevalere, né l’invettiva sgraziata. No, oggi trionfa il genio matematico, che taglia il traguardo con la precisione di un cronografo svizzero. Acume fulmineo, battuta affilata, forse premeditata, come un pasto lasciato a sobbollire lentamente.

Il triplice fischio sancisce la fine della disputa. È qui che si consuma l’apoteosi del sarcasmo familiare.

Un ragazzino, sette anni o poco più, proclama trionfante:

Abbiamo vinto. Cinque a zero!

E il genio, il cui legame di sangue è evidente tanto quanto il gene della battuta:

Poker!

Sipario. Spogliatoi. Doccia.


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