Benvenuti negli Stati Uniti. Due volte.
Prima in California, poi alle Hawaii, come se stessimo attraversando confini di nazioni che si sopportano appena. Al terzo controllo passaporti in ventiquattro ore di volo, persino i doganieri sembrano scusarsi con lo sguardo. “Welcome to the US”, ripetono con la stessa convinzione di chi recita il rosario: meccanica, rassegnata, necessaria.
Il mito delle onde perfette (e dei corpi imperfetti)
Le Hawaii promettono surf da leggenda. Il mare è effettivamente uno spettacolo: onde che si alzano con la precisione di un metronomo, azzurro che sfuma in verde smeraldo, sabbia che sembra farina setacciata da angeli polinesiani. Nel weekend del Memorial Day, però, le tavole da surf sono rare quanto i vegetariani a una grigliata texana. Al loro posto: accampamenti che farebbero invidia a un festival rock, barbecue che profumano di American Dream e corpi che, evidentemente, hanno scelto di onorare la memoria dei caduti con una battaglia personale contro la gravità.

Le onde restano lì, perfette e inutilizzate, come Ferrari parcheggiate davanti a un McDonald’s.
La ricerca del pesce perduto
Chilometri di costa selvaggia, verde da una parte e azzurro dall’altra. Il panorama grida “ristorante di pesce con vista mare, vino bianco, conversazioni sussurrate”. Invece, la realtà risponde con roulotte accampate sul ciglio della strada, trasformatesi nel tempo in templi della carne fritta. Il pesce, quando compare, sembra aver attraversato un campo minato di olio bollente e salse dalla consistenza sospetta.

Solo il tonno sopravvive all’americanizzazione, rifugiandosi nella poke – il piatto più autentico delle isole. Paradosso: ne consumiamo di più nei sushi bar di Milano che qui, dove nascono gli ananas e dovrebbe regnare la semplicità polinesiana. I locali guardano la poke con la stessa perplessità con cui noi osserviamo un americano che ordina un cappuccino dopo cena.
Snorkeling con vista centrale elettrica
L’esperienza subacquea più pubblicizzata dell’isola si svolge di fronte alla centrale elettrica che alimenta il 95% della popolazione. Mentre galleggi tra i pesci tropicali, le ciminiere fumanti creano un contrasto che nemmeno David Lynch avrebbe osato immaginare. Ti chiedi se i pesci dai colori sgargianti siano davvero tropicali o semplicemente radioattivi.
Aloha, Mahalo e Mustang vandalizzate
Le guide turistiche insistono sulla gentilezza locale: “Aloha” a ogni angolo, “Mahalo” come punteggiatura delle conversazioni. La realtà include Mustang a noleggio saccheggiate e risse nei ristoranti di Waikiki che farebbero arrossire un tifoso della Casertana in trasferta. L’armonia polinesiana incontra l’American Way of Life, e non sempre è un incontro pacifico.
Il paradosso energetico tropicale
Sole trecentocinquanta giorni l’anno, venti costanti che farebbero girare le pale eoliche come trottole impazzite. Eppure, i pannelli solari sono rari quanto i pinguini, e l’energia arriva principalmente da quella centrale elettrica che fa da sfondo alle tue foto subacquee. Evidentemente, importare petrolio via nave su un’isola in mezzo al Pacifico è più logico che alzare lo sguardo al cielo.

Traffic jam paradisiaco
Basta che due turisti armati di iPhone avvistino quello che credono essere una foca marina (ma che probabilmente è un sacco della spazzatura galleggiante) per scatenare code chilometriche. L’effetto domino travolge l’intera isola: auto in fila che si muovono con la velocità di una processione religiosa, guidatori che suonano il clacson in perfetto stile continentale, distruggendo in un colpo solo l’immagine dell’hawaiano zen.
Zone off-limits e scoperte involontarie
Il navigatore, complice involontario di avventure non richieste, ci ha guidati due volte in aree militari ad accesso ristretto. Risultato: le spiagge e i parchi più belli dell’isola sono quelli che non dovresti vedere. La natura più incontaminata è custodita dai Marines, mentre i turisti si accontentano di lidi che sembrano set cinematografici di “Baywatch” dopo il passaggio di un uragano.
L’invasione pacifica
Giapponesi ovunque, in quantità che farebbero pensare a una riconquista soft ottant’anni dopo Pearl Harbor. Forse è il modo più elegante di chiudere i conti con la storia: invece di bombardieri, charter di turisti con macchine fotografiche. Il cerchio si chiude con una certa poetica ironia geopolitica.

L’Americanizzazione del paradiso
Un tempo c’era il re delle Hawaii, ora ci sono i re del cemento armato. Palazzoni che sembrano emigrati direttamente dalla Strip di Las Vegas si ergono contro panorami che meriterebbero rispetto e silenzio. Il cinquantesimo stato americano porta con sé l’inevitabile regalo dell’architettura continentale: funzionale, redditizia, devastante.

Il business dell’ananas e altri misteri commerciali
Gli americani del continente, evidentemente, non si accontentano di mare e natura. Servono attrazioni. Ed ecco spuntare ranch di dubbia qualità, piantagioni di ananas trasformate in parchi tematici, microcascate artificiali che sembrano costruite con mattoncini Lego. I turisti salgono su trenini che serpeggiano tra gli arbusti, pagano l’ingresso per scoprire che gli ananas crescono a terra (rivelazione!), e concludono il tour svuotando il portafoglio in negozi di souvenir che vendono tutto tranne l’autenticità.
Il dramma matematico delle mance
Le tips americane trasformano ogni cena in un corso accelerato di matematica. Noi italiani, armati di calcolatrice dello smartphone, diventiamo contabili improvvisati, tormentati da dilemmi etici ed empatici. Il cameriere aspetta, noi calcoliamo, la dignità di tutti pende in bilico su una percentuale.

L’ultimo saluto all’Hawaiano
La lingua hawaiana non si insegna più nelle scuole, soppiantata dall’alfabeto ABC – che non è un nuovo sistema linguistico, ma una catena di negozi che colonizza Waikiki ogni cinquanta metri. Tredici piedi, direbbero loro. L’ultimo residuo della cultura polinesiana sopravvive nelle collane di benvenuto all’aeroporto e nei nomi impronunciabili delle strade, che il navigatore pronuncia con l’accento di un robot depresso.

Le Hawaii restano bellissime, nonostante tutto. Forse proprio per questo contrasto stridente tra quello che potrebbero essere e quello che sono diventate. Un paradiso imperfetto che ti fa amare ancora di più i paradisi autentici. Mahalo.
Scopri di più da Luca Bonesini
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