NineEleven: sei anni dopo

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Quella mattina mi ero svegliato più tardi del solito; Romi era già in ufficio quando io, facendo colazione davanti alla tivù, seguivo la brava giornalista Diane Sawyer di ABC parlare di un incidente aereo nel centro di New York.

Tempo di vestirmi, scendere dal 23° piano per trovare un Al, l’autista dello shuttle bus che tutte le mattine mi portava in ufficio, letteralmente sconvolto: un secondo aereo era andato a schiantarsi contro l’altra torre del World Trade Center.

Ricordo un quarto d’ora di silenziosa attenzione, con l’orecchio teso verso la radio di bordo; ed il susseguirsi degli interventi, concitati ma precisi, direttamente da Manhattan. In ufficio un’atmosfera irreale: lavoro fermo, persone pacatamente preoccupate, in cerca di notizie ed informazioni da ogni fonte. Internet era collassato; riuscivo a chiamare una volta l’Italia prima che le linee telefoniche ci abbandonassero a loro volta.

Ricordo di aver visto il crollo delle due torri in diretta, da una scassatissima televisione recuperata in sala macchine. Nel frattempo ci avevano raggiunto le notizie degli attacchi, perchè di attacchi ormai si parlava, del pentagono e del quarto aereo disperso in Pensylvania, lo stato del paese in cui mi trovavo: Philadelphia. Panico. La decisione di chiudere gli uffici veniva presa di lì a poco; all’uscita, giornalisti della locale tv cercavano di intervistare chiunque fosse disponibile a dire qualcosa.

A casa non mi sentivo sicuro. Con Romi decidevamo di abbandonare il grattacielo in cui vivevamo e la città; guidando velocemente e quasi senza meta, ci ritrovammo nel bel mezzo di nulla e niente. Solo un diner con molti avventori radunati di fronte ad un televisore, a mangiare ed a commentare l’accaduto. Questo fino a sera. Rimanemmo negli States per altri cinque mesi; cinque mesi spesi a veder la gente del posto cercare di ritornare ad una vita normale. Senza riuscirci, però.